“Bozzoli” emotivi, agilità e relazioni d’aiuto

“Bozzoli” emotivi, agilità e relazioni d’aiuto

Se qualcuno ha avuto l’occasione di vedere un ragno che cattura con la sua tela una farfalla per mangiarsela, ha assistito ad uno strano fenomeno dove qualcosa di esile, sottile e impalpabile avvolge mortalmente qualcos’altro in apparenza molto più forte e robusto, impedendogli di muoversi, di esprimere la sua potenza e di trarsi in salvo. Inizialmente la farfalla tenta in modo goffo di liberarsi, ma poi il bozzolo di ragnatela ha il sopravvento e la soffoca mortalmente. Il ragno farà il resto.

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©Le larve, Tiziana Romanin. Vietata la riproduzione

Philip M. Bromberg, nel suo ultimo libro L’ombra dello Tsunami, ad un certo punto parla di “bozzolo a due” che attira paziente e analista in un temporaneo isolamento intersoggettivo, una dissociazione. Ciò accade anche in altre relazioni, al di fuori della relazione analitica. Tuttavia in analisi questo stato emotivo può essere avvertito dall’analista e con le parole agganciato, forzando entrambi a muoversi. La tensione che ne scaturisce, ripetuta e non lineare, genera un processo di negoziazione che lascia spazio alla novità, con un forte potenziale terapeutico.


Ognuno di noi, pensando a sé e alla propria esperienza, prima o poi può scoprire di avere parti di sé avvolte da bozzoli invisibili, filamenti di emozioni difficili, che tengono in scacco quelle parti impedendogli di entrare in relazione col prossimo. Da questi bozzoli emotivi ognuno di noi fatica ad uscire, nonostante per qualche ragione ne abbia consapevolezza e desiderio di farlo.
L’agilità emotiva, per come io la intendo, è la capacità di fare i conti con questi “bozzoli” emotivi, col riuscire a lacerarli e a fare spazio, in modo da non rimanervi intrappolati e mortalmente avvolti. Ciò che muore, quando ne siamo in scacco, è la possibilità di esistere anche in altro modo e di attingere al potenziale vitale che quelle stesse emozioni potrebbero metterci a disposizione.


Con i consulenti del 147 svizzero, che è per certi versi il corrispettivo del nostro Telefono Azzurro, siamo partiti da queste suggestioni e considerazioni per un lavoro sull’agilità emotiva nelle relazioni d’aiuto. È stato per lo più un lavoro esperienziale, di giochi emotivi, dove le spiegazioni hanno lasciato il posto alle sperimentazioni e gli scambi verbali hanno spesso ceduto il passo alle risonanze emotive. Il ricorso alle parole è servito più per gettare ponti e facilitare lo stare in relazione che per spiegare e capire. Tant’è che spesso ci siamo accontentati di camminare sul ciglio delle parole e a contatto con il silenzio, per non infrangere il senso di ciò di cui si stava facendo esperienza. Anche per questo, gli appunti che avevo preparato mi sembrano ora lontani da ciò che abbiamo fatto insieme.

Nelle relazioni d’aiuto, come quelle che attivano i consulenti del 147 con i loro appellanti, il lavoro con e sulle emozioni è fondamentale. Con le proprie, innanzitutto. Il consulente è costantemente attraversato da correnti emotive che inevitabilmente lo avvolgono, e ne sconvolgono l’equilibrio. Ma nel farlo porta con sé la possibilità di conoscere ed entrare autenticamente in contatto con l’altro, che molto spesso non è grado di spiegare ciò che prova, e perciò fa sperimentare al consulente ciò che a parole non riesce a dire. Non c’è alternativa: il marinaio che ha bisogno del mare non può evitare le onde e la tempesta e impara il modo per riuscire ad averci a che fare. È un gioco di pesi e contrappesi, di equilibri ed equilibrismi, di consapevolezza, di possibilità e di limiti. Di baricentro.

I clienti portano nella relazione d’aiuto i loro “bozzoli” emotivi e la stretta mortale dalla quale non pensano di poter uscire, perché altrimenti l’avrebbero già fatto senza l’aiuto di nessuno. Ma gli rimane un dubbio, ancorché inconsapevole, che in fondo in fondo qualcosa si possa fare. È forse il motivo che li porta a chiamare e chiedere aiuto. Questi stati emotivi entrano in risonanza muta con gli stati emotivi del consulente e con le strette nelle quali anch’egli si sente avvinghiato, che ne sia consapevole o meno. È nella capacità di riconoscerli che nasce la possibilità di allentarli e di uscirne, e di accompagnare gli altri a fare lo stesso.

Il consulente, per sua parte, deve aver fatto bene i conti con i suoi “bozzoli” emotivi ed aver sviluppato un’adeguata agilità emotiva che gli consenta di entrarci, di starci, di fare spazio e di uscirci, senza rimanervi mortalmente impigliato. L’agilità di stare in differenti e imprevedibili disposizioni emotive è ciò che fa la differenza tra il ripetere e far ripetere una dinamica dolorosa e già sperimentata e l’inaugurare un nuovo modo di stare con se stessi e con gli altri.
A noi consulenti, terapeuti, psicoanalisti, i clienti portano i loro “bozzoli” e cercano di dimostrarci che da lì non se ne esce vivi. Sta a noi alimentare la speranza, sapendoci stare e avendo fede che ci sarà una via d’uscita. Non serve dirlo, perché tanto in quel momento non ci sarebbe spazio per ascoltare: ma è improntante saperlo e tener viva in noi la speranza, per poter piano piano aiutare gli altri ad organizzare la propria speranza, per usare la bella espressione di Fornari.
Ed è possibile, come consulenti, terapeuti, psicoanalisti, se siamo capaci per l’appunto di agilità emotiva: di entrare ed uscire dagli stati emotivi nostri e degli altri, di cambiare disposizione, di riconoscere le correnti del mare in cui stiamo insieme nuotando, di avere chiaro ciò che è nostro, ciò che è dell’altro e ciò che appartiene a entrambi e che in quel momento fugacemente appare e scompare.

In questo modo, anche la stretta si può tollerare, per poi uscirne e vedere che non c’è nessun ragno lì fuori ad aspettare, ma soltanto un desiderio di vita che è di nuovo in grado di spiccare il volo.


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