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Mese: febbraio 2015
Lean Thinking
Lean thinking possiamo tradurlo con “pensiero agile” o “leggero”, senza fronzoli e senza sprechi. Essenziale.
Lean ha a che fare con ciò che è magro e sano, dice il Dizionario Inglese, per non confonderlo con la magrezza insana, che tende all’anoressia.
Da un po’ di tempo sta diventando un valore il dichiarare un utilizzo responsabile delle risorse, dentro e fuori dalle organizzazioni: si può e si deve fare con meno. Meno cibo, meno plastica, meno auto. Meno energia elettrica.
Le aziende da un po’ di tempo si pongono la questione di come fare con meno, oscillando tra pratiche lean sane e virtuose e colpi di accetta male assestati, per inseguire smagrimenti certe volte necessari e altre volte discutibili. È in ogni caso vero che oggi in molte aziende il lavoro si può fare lo stesso in meno tempo, con meno energie e meno fatica. Con meno parole. E si può fare anche meglio.
Nel frequentare le organizzazioni assisto talvolta ad uno spreco di energie psicologiche e relazionali o per lo meno ad un utilizzo poco responsabile, e questo riguarda sia i manager che i loro collaboratori. L’attenzione si perde in mille rivoli perché non c’è una sufficiente capacità di allineare (e allinearsi) su poche e importanti priorità che generano valore. Il tempo è schiacciato sul presente con ritmi frenetici, parcellizzati e poco coordinati, che fanno perdere tempo anziché ben utilizzarlo. Le parole sono troppe e non veicolano senso: troppe riunioni inconcludenti, troppe e-mail e troppe in copia conoscenza, troppo poco ascolto. Le emozioni non sono tenute nel giusto conto, cosicché quelle negative, poco contenute, costringono gli altri ad utilizzare energie aggiuntive per farvi fronte e quelle positive non vengono adeguatamente esaltate e messe in circolo. E non si traducono in performance.
La logica lean è un modo di pensare prima ancora che di fare: potremmo dire che è una cultura. Come tale non riguarda soltanto i processi organizzativi, ma può essere applicato anche ai comportamenti, alle relazioni e alle emozioni. Ha a che fare con l’essere focalizzati e col portare l’attenzione dove serve e quando serve. Col trovare modalità di comunicazione appropriate, essenziali e poco dispersive. Col gestire bene le proprie ed altrui emozioni, sapendole contenere e indirizzare nei tempi e nei modi adeguati agli scopi da realizzare.
I costi del non pensare lean sono per lo più impliciti e solo raramente vengono misurati, nonostante ci siano indicatori che consentirebbero di farlo.
Pensare lean significa concentrarsi su ciò che serve davvero e lasciar stare tutto il resto. Va da sé che ciò non si può stabilire a priori e probabilmente non si può generalizzare. Tuttavia, si può allenare un attitudine in tal senso. Il lean thinking ci invita a vagliare i nostri comportamenti professionali e manageriali e ad interrogarci su quanto le energie che ci richiedono debbano essere considerate un investimento o uno spreco evitabile.
Per poterlo fare è necessario riflettere su quanto i nostri comportamenti siano finalizzati e coerenti agli scopi (efficacia) e se ci siano modi meno dispendiosi per arrivare allo stesso obiettivo (efficienza). È indispensabile prendere coscienza delle proprie abitudini e degli assunti culturali che regolano i comportamenti, perché spesso il nostro agire è dettato da assunti culturali non più validi o che possono essere trasformati e fatti evolvere. Contemporaneamente è importante poter disporre di modelli di comportamento, di tecniche e di strumenti operativi. Infine, è indispensabile che tutto ciò venga condiviso all’interno di frequenti momenti di dialogo e confronto, perché le capacità e le tecniche individuali possano diventare competenza.
Nasce da qui il progetto e&e messo a punto per e con un’azienda di servizi informatici per le banche, con l’intenzione, originale, di applicare il pensiero lean ai comportamenti e alle relazioni dei manager e dei collaboratori di tutta l’azienda e creare una cultura lean che potesse sostenere l’introduzione prossima di un processo di lean IT. L’idea e il filo conduttore è stato il pensare di poter generare gli stessi risultati, o addirittura risultati migliori, con un dispendio inferiore di energie: non necessariamente per poter fare di più, ma sicuramente per riuscire a fare meglio sul piano della qualità del lavoro, del benessere lavorativo e delle relazioni professionali, a parità di risorse investite o addirittura con un investimento inferiore. Si è ritenuto che il tempo, l’attenzione e le energie potessero essere utilizzate diversamente e generare maggiore valore nella relazione con il cliente, nella relazione con i colleghi e nella relazione con se stessi al lavoro.
La sfida sul piano dei comportamenti era una diretta traduzione della sfida strategica che indicava il perseguimento di un miglioramento qualitativo con una contemporanea ottimizzazione e riduzione dei costi.
La logica sottesa all’intervento, durato circa un anno, è stata di forte partecipazione e coinvolgimento sia in fase di progettazione, sia in fase di predisposizione dei contenuti e degli strumenti, sia in fase di realizzazione degli incontri formativi. Buona parte delle attività sono state co-gestite col management e con alcuni loro collaboratori di valore, di volta in volta preparati attraverso una serie di workshop operativi, con lo scopo di scegliere i contenuti e affinare gli strumenti didattici e di applicazione sul campo.
A valle dei workshop, al management è stato chiesto di organizzare e condurre una serie di brevi incontri ricorsivi (rolling meeting) con i colleghi, che avevano lo scopo di condividere gli stimoli sul tema in oggetto, di far acquisire una serie di metodologie e tecniche specifiche, di allenarne l’applicazione sul campo attraverso momenti di sperimentazione e confronto (peer feedback and coaching).
La prima parte dell’intervento ha avuto come obiettivo quello di aiutare le persone a sviluppare una disposizione più efficace ed efficiente all’utilizzo del tempo e dell’attenzione, andando oltre l’idea tradizionale di time management. La questione del tempo e dell’organizzazione efficiente delle attività non è più tanto (o soltanto) legata alla singola persona ma diventa competenza del sistema: è il sistema che ha ampi margini di efficientamento, perché il singolo, oltre un certo punto non riesce ad andare. La questione diventa quindi culturale. Ecco perché è corretto parlare di lean thinking, poiché oltre e prima ancora che essere una pratica operativa è un modo di intendere e pensare il proprio stare in relazione col lavoro, con gli altri e con l’organizzazione nel suo complesso.
La seconda parte dell’intervento ha avuto invece l’obiettivo di mettere in comune prassi di comunicazione orientate in senso lean: comunicare in modo chiaro, essenziale, efficace sia in riferimento ai contenuti che in relazione ai modi, ai canali e agli interlocutori attraverso i quali le informazioni vengono veicolate. Il lavoro ha riguardato in particolare la comunicazione via e-mail: dalle indicazioni su come comporle, alle attenzioni riguardo aspetto specifici (come ad esempio la riga oggetto), alla definizione di un codice condiviso di comunicazione via e-mail (netiquette aziendale). Ha riguardato anche la gestione efficace di briefing e riunioni, tema manageriale in genere molto trattato ma molto poco praticato. Di qui la scelta di un’architettura di apprendimento molto allenativa e operativa, con linee guida e check list per i feedback e il monitoraggio attraverso indicatori di impatto e risultato.
La terza e ultima parte ha avuto l’obiettivo di aiutare le persone ad utilizzare in modo responsabile le proprie emozioni. Sembra strano, ma a ben guardare le emozioni rischiano di essere oggi la risorsa peggio utilizzata, come evidenziano molte ricerche. Le emozioni possono invece essere considerate “energia” da utilizzare nella realizzazione di compiti e obiettivi professionali, ma se non sono gestite in modo opportuno rischiano di essere “sprecate” e male utilizzate. Ad esempio, il coinvolgimento e l’attivazione dei colleghi può essere mortificato dalla paura, che è un’emozione, del team leader di perdere il controllo e la leadership. Oppure, l’ aumento del livello di ansia e di stress di una persona costringe colleghi e collaboratori a inevitabili strategie di coping che distolgono le energie dalle performance. Tutto ciò è ancor più vero nelle organizzazioni del nostro tempo, dove sempre più frequentemente viene chiesto alle persone di generare performance in condizioni di maggiore pressione operativa e, di conseguenza, di minore lucidità emotiva.
Nel suo complesso, l’intervento ha consentito il conseguimento di almeno tre risultati. Il primo risultato è stato un innalzamento del livello di attenzione e di consapevolezza sulla gestione responsabile delle risorse psicologiche e relazionali. Il meccanismo dei rolling meeting, brevi, sistematici e ricorsivi, e l’attivazione di lavori applicativi e di coppie di peer coaching, ha consentito una rapida e generalizzata circolazione di alcuni concetti chiave e di una serie di strumenti cognitivi ed operativi.
Il secondo risultato è stato un allineamento su alcuni comportamenti lean applicati all’organizzazione del lavoro e del tempo, alla gestione delle comunicazioni, delle relazioni e delle emozioni. Ciò si è reso evidente anche dal linguaggio e da alcune parole che hanno iniziato a circolare con più frequenza rispetto a prima.
Un terzo risultato, ancora in corso di monitoraggio e valutazione, è stato l’impatto in termini di risultato, rilevato attraverso il giudizio delle persone e per mezzo di indicatori oggettivi (es. il ricorso agli straordinari, i ritardi, il numero di e-mail inviate e ricevute, il numero e la durata media delle riunioni, etc.).
Questa esperienza ha rafforzato l’idea di fondo, ovvero che il lean thinking può essere considerato un modo di pensare alla relazione col proprio lavoro, con i colleghi e con l’organizzazione nel suo insieme. Il contenuto emerso dagli scambi con le persone di diversi ruoli e livelli di responsabilità ha confermato il diffondersi di un pensiero, e forse di un valore: è e sarà sempre più necessario utilizzare in modo responsabile le energie che abbiamo a disposizione. E ciò riguarda anche le energie psichiche e relazionali, e non soltanto quelle materiali ed economiche.
Una critica che viene mossa al pensiero lean è di ridurre all’osso gli investimenti in attività apparentemente non indispensabili o il cui output non sia oggettivamente misurabile, adottando una visione di breve termine. In effetti ci può essere un rischio in tal senso: ci sono molte pratiche che riguardano lo sviluppo di capacità e sensibilità cosiddette soft, che non hanno una misurabilità obiettiva nel breve periodo, ma che tuttavia consentono ai sistemi organizzativi di mantenere o acquisire uno stato di salute ed efficacia nel medio e lungo termine.
Ma, come abbiamo detto all’inizio, il lean thinking rimanda all’agilità e all’essenzialità, e quindi al togliere solo ciò che è di troppo, a partire da una buona consapevolezza e conoscenza di sé, del proprio operare e del sistema in cui si opera: essere essenziali e snelli, con un buon baricentro su ciò genera davvero valore.